Quando la Grande Sorella tedesca arresta senza troppi riguardi un pittoresco leader secessionista catalano divenuto troppo molesto in un Paese Ue chiave come la Spagna non sorprende che “il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, la ministra degli Esteri Karin Kneissl e il governatore altoatesino Arno Kompatscher abbiano concordato di congelare il gruppo di lavoro governativo per studiare l’eventualità di concedere la doppia cittadinanza ai sudtirolesi di lingua tedesca e di lingua ladina fino all’esito delle elezioni provinciali indette per il prossimo settembre”. Dietro un comunicato burocratico e imbarazzato, si cela a malapena una situazione che, in provincia di Bolzano, ha assunto aspetti politicamente paradossali, ai limiti del ridicolo, attorno a un nodo istituzionale molto serio, per l’Italia e per l’Ue.
Dunque: tre settimane fa in Alto Adige è stata è stata eletta deputata Maria Elena Boschi, con premesse ed effetti ormai stranoti. La candidatura della sottosegretaria alla Presidenza uscente è stata imposta dal leader Pd Matteo Renzi per fronteggiare i rischi di molti collegi nazionali, pari ai rifiuti da altre strutture locali del partito. La candidatura è stata accolta e appoggiata dalla Svp, partito autonomista locale, in cambio di pesanti contropartite dirette: nel 2016 un codicillo alla riforma istituzionale ultra-centralista firmata da Renzi e Boschi (e bocciata dal referendum popolare) prevedeva una way-out per la Provincia di Bolzano. Nei mesi precedenti il voto del 4 marzo, soprattutto, il governo Gentiloni – con Boschi a palazzo Chigi – ha rinnovato senza gara per trent’anni la concessione multimiliardaria dell’Autobrennero, aggiungendo finanziamenti straordinari per l’avvio dello scavo del nuovo tunnel ferroviario Italia-Austria.
Le urne, com’è noto, hanno premiato Boschi, ma hanno punito il Pd anche a Bolzano, con una flessione del 10%. E due terzi degli elettori dell’ex ministra per le riforme sono risultati di lingua tedesca. Si è trattato quindi di fan dell’Svp ben disposti al classico “voto utile”, evidentemente spinto da capillari gerarchie locali: secondo prassi non dissimili da quelle più volte denunciate da molti “professionisti dell’antimafia” in regioni italiane molto lontane dal Sud Tirolo e assai meno reputate.
Attorno al ridotto alpino altoatesino – nella provincia autonoma di Trento, in Lombardia, nel Veneto, in Friuli – il centrodestra ha intanto realizzato cappotto, con un boom decisivo della Lega. Proprio in Trentino, antico territorio politico moderato e degasperiano, l’autonomismo “italiano” della Lega ha assunto una leadership storica. E in questa affermazione ha schiacciato il Pd: partito ritrovatosi avversario degli autonomisti “italiani” a Trento e forzatamente alleato degli autonomisti “tedeschi” a Bolzano. Questi ultimi godono dal 1972 di un’amplissima autonomia finanziaria: in provincia di Bolzano la spesa diretta in stipendi è più che doppia rispetto a Milano o Roma e la disoccupazione è naturalmente ferma al 3,5%.
Ciononostante, il vecchio mantra los vom Trient (oggi vom Italien) risuona periodicamente a ricordare che la “quietanza liberatoria” rilasciata solo nel 1992 dal governo di Vienna a quello di Roma resta virtualmente viva: una cambiale diplomatico-finanziaria apparentemente eterna, anche quando gli stessi titolari ne mostrano i paradossi storici. Ad esempio quando è l’Austria – oggi governata da una coalizione guidata da estremisti xenofobi di destra – a scoprire oggi l’utilità militare di un confine montano all’interno dell’Ue: schierando al Brennero truppe e corazzati anti-immigrati. Appena un passo in qua rispetto ai muri eretti dall’Ungheria, antico partner nell’impero asburgico.
È con questa Austria che questo Alto Adige stava recitando l’ennesimo show politico sulla doppia cittadinanza: avendo fatto posto posto a tavola (a pagamento) al Pd al governo negli ultimi cinque anni in Italia. Ora a Roma un nuovo governo ancora non c’è, ma una delle due forze politiche uscite vincenti dal voto ha abbandonato vecchi copioni secessionisti e ha invece messo sul tavolo un format nuovo: l’autonomia differenziata, votata lo scorso ottobre dal 57% dei titolari di diritto di voto in Veneto. A differenza del “doppio passaporto” italo-austriaco, l’evoluzione federalista italiana è un percorso istituzionalmente fondato e politicamente sperimentabile. E’ l’autonomia altoatesina a mostrarsi superata dai tempi: il suo costo assoluto e relativo è ormai sempre meno giustificato rispetto a come e quanto sono cambiate l’Italia e l’Europa attorno. Anche Vienna si è dovuta accorgere che non è questo scorcio del 2018 il periodo giusto per interferire negli affari interni italiani e forse nessun periodo sarà più giusto: neppure per finta. E se i “fratelli” altoatesini hanno sbagliato cavallo – colorando di una singolare macchia rossa l’estremo Nord di un’Italia divenuta giallo-blu – i ministri nero-blu austriaci stavolta possono farci poco o nulla.